martedì 7 aprile 2015

A SEI ANNI DAL TERREMOTO, L'ODISSEA DELLA RICOSTRUZIONE DE L'AQUILA

“Dopo troppe promesse, siamo finalmente passati all'azione. I soldi adesso ci sono: spenderli bene è un dovere”, scrive il premier Renzi in un suo post su Facebook, riferendosi all'odissea della Ricostruzione de L'Aquila. Un'odissea che dura da sei anni. Dal 6 aprile 2009, giorno della maledetta scossa magnitudo 6.3 che spezzò le vite di 309 persone, ne ferì 1.500 e provocò 60 mila sfollati. Da allora inefficienze, scandali, fondi mai arrivati, interventi spot da campagna elettorale hanno allontanato l'orizzonte della ricostruzione di un intero Paese, divenuta la città fantasma d'Abruzzo. E di un'intera provincia, che porta ancora i segni di quella terribile notte. Ora Renzi annuncia su Facebook lo stanziamento di 5,1 miliardi in legge di Stabilità (dal 2015 al 2019), 1,13 miliardi di euro a febbraio 2014 dal Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica) per l'accelerazione dell'edilizia privata, 86 milioni per la ricostruzione pubblica. E, in effetti, lo stanziamento c'è. Ma al momento solo sulla carta. Inoltre, per i fondi relativi al biennio 2018 e 2019 si tratta solo di un'intenzione espressa. In più nel 2014, erano stati stanziati 652 milioni, ma sono arrivati in Abruzzo solo 487. E che dire dei finanziamenti per 478 milioni, deliberati dal Cipe nel 2015 per la ricostruzione? Ad oggi non un centesimo è arrivato nelle casse del comune aquilano. E poi problematiche di natura organizzativa e operativa. Soldi che arrivano sempre in tranche e che lasciano buchi di sei mesi/un anno nelle attività di ricostruzione (come spiega a Il Fatto Quotidiano Giustino Masciocco, consigliere comunale a L'Aquila). La rimozione quasi completa della squadra di comando: Paolo Aielli (Direttore ufficio per la ricostruzione de L'Aquila), Aldo Mancurti (Capo della struttura tecnica di missione), Giovanni Legnini (sottosegretario al Tesoro con delega su l'Aquila). Tutti sollevati dai loro incarichi per ricoprire altri ruoli. Intanto, tra avvicendamenti politici, tecnici e amministrativi, burocrazia, inchieste, fondi non arrivati, l'Aquila, a sei anni dal terremoto, resta città fantasma.
Il centro storico, completamente devastato dal sisma, è ancora un deserto, pochissimi negozi sono stati riaperti, sedicimila aquilani vivono nelle 19 New Town costruite intorno alla città, sotto inchiesta per cedimenti di balconi e infiltrazioni. In tutto ventiduemila persone non sono ancora rientrate nelle loro abitazioni. Poi la beffa della Protezione Civile che, dopo l'assoluzione delle commissione Grandi Rischi, chiede ai familiari delle vittime del terremoto, la restituzione dei soldi delle provvisionali, in tutto 7,8 milioni di euro, decise dal giudice con la condanna in primo grado dei membri della commissione. Poi assolti, appunto. L'anniversario del terremoto è stato celebrato con una fiaccolata lungo le strade della città, per commemorare le vittime e ricordare allo Stato che le macerie di quella notte del 6 aprile sono ancora lì, negli occhi di chi ha vissuto la tragedia. Negli edifici scalfiti dalle crepe e completamente distrutti. In quella sentenza della Corte d'Appello de L'Aquila che lo scorso novembre ha assolto ben sei dei sette membri della commissione Grandi Rischi, ribaltando la sentenza di primo grado che aveva inflitto una condanna a sei anni per omicidio e lesioni colpose.“Il fatto non sussiste, ma uccide”, la frase apparsa su uno striscione sorretto dalle mani dei partecipanti alla fiaccolata.

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